giovedì 7 dicembre 2023

Terzo giorno, mattino. Antropologia e fantascienza al MUFANT

La terza giornata di attività delle Summer School ci ha portati nuovamente nell'estrema periferia nord di Torino. Potremmo dire "ai confini della realtà", visto che la nostra meta della mattina è stato il MUFANT, MuseoLab del Fantastico e della Fantascienza. 

In questa ex scuola convertita in spazio museale abbiamo incontrato Davide Monopoli, co-fondatore e co-direttore del MUFANT insieme a Silvia Casolari, e ci siamo chiesti in che modo antropologia e fantascienza possano dialogare attorno alle questioni urbane. In effetti, anche se raramente pensate come mondi simili tra loro, sia antropologia che fantascienza condividono una certa vocazione a farsi "critica culturale" rispetto a tutto ciò che viene dato per scontato, per naturale, per inevitabile. Le narrazioni fantascientifiche, proiettando la loro immaginazione nel futuro o su lontani pianeti, tutto sommato ci invitano a fare ciò che le ricerche etnografiche ci mostrano in questo nostro mondo presente: ossia che le alternative sono possibili, che è possibile vedere e interpretare la realtà sociale altrimenti, e che cambiando il nostro punto di vista possiamo scorgere ciò che se no resta invisibile. Insomma, anche quello della fantascienza è un "giro lungo", proprio come quello dell'antropologia. Anzi, forse ancora più lungo visto che raggiunge le più lontane galassie per fare poi ritorno a casa. Per approfondire il discorso, un riferimento utile può essere il recente numero tematico della Rivista di Antropologia Contemporanea (RAC) dedicato ad "Antropologia e fantascienza" curato da Fabio Dei, Fabiana Dimpflmeier e Francesco Vietti. 

Come ci ha raccontato Davide, il MUFANT è un museo unico nel suo genere in Italia, e che in Europa può essere accostato solo a La Maison d'Ailleurs, il musée de la science-fiction fondato nel 1976 da Pierre Versins a Yverdon-les-Bains, in Svizzera. Se i musei dedicati alla fantascienza non sono del resto numerosi neppure a livello mondiale, il MUFANT segnala sin dal nome la sua peculiarità presentandosi come MuseoLab: non solo, dunque, spazio museale pensato per la conservazione e la valorizzazione delle produzioni fantascientifiche, ma anche laboratorio impegnato a sperimentare, progettare, agire sugli spazi esterni al museo, nella città. 

“Il museo è gestito da un’associazione culturale e dal 2002 riunisce persone appassionate del genere del fantastico e fantascientifico, ma che nella vita fanno anche altro e hanno varie competenze: psicologi, insegnanti, collezionisti. Per tenere aperto un ruolo fondamentale è quello delle borse lavoro con il mondo della cooperazione sociale. In particolare, lavorano con noi diverse persone con problematiche legate alla salute mentale che altrove fanno fatica a trovare un impiego perché la disabilità mentale è molto stigmatizzata, ancor più di quella fisica”.






Attorno alle attività del MUFANT, si delinea dunque una comunità composta da curatori, collezionisti, appassionati, scrittori, artisti che riconoscono nella fantascienza un patrimonio di idee, narrazioni, oggetti cui attribuiscono valore e attraverso cui consolidano una dimensione identitaria collettiva di fantascientisti. Un patrimonio non di rado “dissonante” rispetto alle narrazioni dominanti nel discorso pubblico su molti temi di rilevanza sociale, e che, proprio per questo, assume una valenza di critica culturale ed esprime istanze di cambiamento. In questa prospettiva, quello della fantascienza è un patrimonio spiccatamente orientato verso il futuro, che non si pone solamente nell’ottica di trasmettere alle prossime generazioni le tracce dei futuri di volta in volta prodotti nel passato dalle nostre società, ma che aspira esplicitamente a trasformare il futuro. All’originaria vocazione museale, il MUFANT ha dunque affiancato nel corso degli anni un sempre più marcato interesse per l’ideazione e lo sviluppo di interventi di tipo socioculturale capaci di avere un impatto sul territorio circostante. Il fatto che il museo si trovi in una zona periferica della città, priva di servizi e di attrattive, secondo Davide è un aspetto che ha ispirato in modo determinante la comunità che ne realizza le attività:

“Siamo in un quartiere di confine, in una sorta di Twilight zone  di Torino. Non saprei dire se siamo arrivati qui perché per noi la fantascienza ha un certo significato, o al contrario se l’abbia acquisito proprio perché ci troviamo qui. In ogni caso per me la fantascienza è pensare mondi possibili, che potrebbero esserci qui e ora; quindi, è vedere quel che potrebbe esserci e non c’è. Si tratta di una pratica esistenziale, il non amare le situazioni di status quo, questa è l’indole profonda e passionale che ci guida. Noi interpretiamo la fantascienza in questo modo, con questa attitudine. Il nostro compito di fantascientisti è raccontare l’altro, l’alieno. Il nostro impegno è molteplice, sciogliere i pregiudizi, gli stereotipi, per trattare il tema ci siamo aperti e siamo diventanti militanti nella nostra lotta a favore dell’incontro con l’altro. Questo ci ha obbligato a guardare sempre di più a quel che accade fuori dagli spazi chiusi del museo. Per questo abbiamo messo in piedi quello che chiamiamo il Parco del Fantastico, con le statue di Capitan Harlock, Alien, Frankenstein, Wonder Woman e gli altri personaggi che si vedono attorno al museo. Si potrebbe definire un progetto di riqualificazione della zona, ma vogliamo assolutamente evitare le cose di facciata. La questione estetica deve rimandare per noi al problema centrale dal rapportarsi con cui vive qui, attorno a noi. Lavoriamo ad esempio molto con le scuole di zona, e poi cerchiamo di cucire con le famiglie attraverso i ragazzi, gli aspetti di cultura pop e giovanile del museo sicuramente ci permettono di fare questo”.

Dopo aver visitato il museo in compagnia di Davide, i partecipanti alla Summer School sono stati coinvolti in una breve esercitazione attraverso cui hanno ideato in piccoli gruppi delle tracce per dei racconti fantascientifici attraverso cui mettere in scena una Torino del futuro seguendo quattro possibili scenari: uno scenario utopico, uno scenario distopico, uno scenario apocalittico o uno scenario solarpunk. A titolo d'esempio, riportiamo di di seguito uno dei testi prodotti.


Lo scenario distopico di Alex, Davide, Fabio, Roberta e Sabrina

Futuro. Le acque della Stura hanno invaso l’intera periferia nord di Torino. Gli unici a vivere sopra il pelo dell’acqua sono i dirigenti di Lavazza e Intesa San Paolo, che dall’alto dei loro attici agli ultimi piani delle torri sottomettono tutti al loro controllo.
Gli abitanti, costretti a vivere sott’acqua, hanno col tempo perso la capacità di parlare e l’unico mezzo che hanno per comunicare è lo scambio di NFT. Il Piccolo Cinema è diventato un hub della resistenza cittadina contro il controllo tirannico dei ricchi imprenditori. I ribelli lavorano in segreto per sovvertire l’attuale ordine sociale e creare un sistema che garantisca ai cittadini di poter vivere dignitosamente sopra il ciglio dell’acqua. Utilizzando gli NFT e facendoli circolazione tramite tecnologia blockchain la resistenza diffonde immagini che danno speranza e uniscono la popolazione nella lotta per un futuro migliore.