lunedì 11 dicembre 2023

Tema della prima edizione. ESPLORARE I CONFINI: ANTROPOLOGIA, WELFARE E CITTA'

 

Habitat di Millo, Torino © Alice Massano 

Torino ospita la prima edizione della Summer School della Società Italiana di Antropologia Applicata (SIAA), a cura dei laboratori permanenti AppLab e UrbeLab. Un'esperienza di apprendimento immersivo e partecipativo intorno alle pratiche e alle metodologie dell'antropologia applicata nei servizi educativi, sociali e sanitari e negli ambienti urbani.

Scarica qui la locandina della Summer School.

Scarica qui il programma completo.


Incontro di apertura e cena al Centro culturale italo-arabo Dar al-Hikma

La prima edizione della Summer School SIAA ha avuto inizio mercoledì 13 settembre 2023 con la sessione inaugurale tenutasi presso il Campus Luigi Einaudi dell’Università di Torino. 

Dopo il saluto iniziale di Pier Paolo Viazzo, che ha dato il benvenuto a tutti i partecipanti a nome del Dipartimento di Culture, Politica e Società (CPS), la giornata è stata aperta dagli interventi di Federica Tarabusi, Sabrina Tosi Cambini e Giacomo Pozzi che hanno illustrato come la summer school si collochi all’interno dell’ampio programma di iniziative e attività che da anni vengono realizzate in seno alla SIAA dai due laboratori permanenti denominati AppLab e UrbeLab. 

I laboratori SIAA si impegnano attraverso vari strumento nella valorizzazione delle possibilità applicative dell’antropologia nella pratica del campo, nella facilitazione dei processi di partecipazione sociale, nel mondo delle professioni, attraverso lo scambio continuativo, la condivisione dei saperi e la maieutica reciproca. I laboratori offrono occasioni di generazione di conoscenza e di sperimentazione che fanno leva su un ampio spettro di metodologie: partecipative, visuali, grafiche, performative. In particolare l’AppLab (Antropologia Applicata ai Servizi educativi, sociali e sanitari), nato nel 2018, si propone come uno spazio di confronto attivo, riflessivo e propositivo tra antropologi e antropologhe impegnati in attività di progettazione, consulenza, formazione, ricerca/intervento nei diversificati ambiti dei servizi educativi e socio-sanitari, pubblici e del privato sociale. L’UrbELab (Urban Environment Lab (Antropologia Applicata agli Ambienti Urbani), formatosi più recentemente, lavora invece sui processi e nei processi urbani intesi come ambiti di azione per sollecitare fortemente la costruzione di un dialogo proficuo e costruttivo non necessariamente vincolato a specifiche competenze, linguaggi e agende. I temi urbani, del resto, hanno caratterizzato la storia di SIAA fin dalla sua fondazione e sono al centro anche della prima edizione della nostra Summer School.

Dopo una breve presentazione dei contenuti del programma formativo della scuola estiva da parte del Comitato organizzativo, la sessione d’apertura è proseguita con un’attività di team building che ci ha permesso di “rompere il ghiaccio” e di cominciare a conoscersi meglio, valorizzando soprattutto le varietà di competenze ed esperienze portate dai partecipanti alla Summer School.
La giornata si è poi conclusa con una cena presso il ristorante del Centro culturale italo-arabo Dar al-Hikma, preceduta da un incontro conoscitivo delle attività del centro attraverso un’interessante chiacchierata con il suo fondatore e direttore, lo scrittore Younis Tawfik.




Primo giorno, mattino. Comunicare il territorio e le periferie

Ci siamo ritrovati di buon mattino al Campus Einaudi e dopo un lungo (è il caso di dirlo) viaggio in tram siamo arrivati alla Casa nel Parco, la Casa del Quartiere di Mirafiori. Siamo nell’estrema periferia sud di Torino, lì dove vanno in scena i titoli di coda della città. Via Artom è uno dei luoghi simbolo della rigenerazione urbana. Oggi la Casa nel Parco è un bell’edificio immerso nel verde, sede di numerosi progetti e iniziative culturali. Un posto incantevole. Eppure, proprio lì di fronte, esattamente venti anni fa, un palazzo di edilizia popolare si accartocciava su se stesso sotto la spinta di duecento chili di dinamite. Un modo per cancellare, anche visivamente, un difficile passato. Ma cosa ne è oggi di via Artom? 

Parlare di periferie non è certamente semplice e uno sguardo antropologico può sicuramente aiutare a restituire complessità a un racconto spesso ricco di stereotipi. I partecipanti, divisi in tre gruppi, hanno provato a raccontare la Mirafiori di oggi. Un gruppo ha realizzato un reportage giornalistico dal titolo “Mirafiori dopo l’abbattimento”; un altro, un podcast con un’intervista a Ivana Nikolic, ballerina di origine serbo-bosniache e attivista; e infine un terzo gruppo un reportage fotografico presso gli Orti Generali, un grande spazio verde di aggregazione e incontro che offre la possibilità di coltivare, in gruppo, in famiglia, come associazione o individualmente circa 150 orti urbani e che offre un ricco programma formativo di corsi e workshop.

Mirafiori dopo l'abbattimento 



I primi di gennaio del 1981 un gruppo di tre ragazzi adolescenti di Mirafiori, di cui due minorenni, provano il “colpo” ad un gioielliere della zona. Le cose non vanno come previsto, la situazione precipita e Gianni, quindicenne, in maniera involontaria preme il grilletto e uccide il commerciante. La notizia ha risalto sulla stampa locale, riaccende il dibattito sui comportamenti violenti e “antisociali” dei giovani che abitano la periferia sud della città. Queste stesse narrazioni vengono riattivate nel novembre 2022 quando nella stessa zona di via Artom un giovane viene gambizzato in circostanze che la stampa locale descrive come “legate ai conflitti per l’occupazione abusiva di alcuni appartamenti”. Nulla è cambiato in questi quarant’anni?

In realtà, basta una breve visita alla Casa nel Parco di Mirafiori per comprendere quante trasformazioni ci siano state. L’abbattimento spettacolare nel 2003 di uno dei principali palazzi popolari ha sancito un rito di passaggio nella storia del quartiere, un distacco simbolico da un passato di sviluppo industriale che ha portato alla sistematica marginalizzazione di una parte della popolazione giovanile. Nonostante alcuni pregiudizi che continuano a persistere nella descrizione del quartiere, la forza dirompente del desiderio di rivalsa, soprattutto della nuova generazione, fa sì che oggi Mirafiori brulichi di attività partecipative e attive che partono dal basso. Questo determina anche la chiusura di un cerchio che lega le nuove generazioni a quelle precedenti. Insieme si contribuisce a dare una nuova visione della propria realtà, depurata dagli stereotipi che fino a poco tempo fa hanno contribuito a determinare l’identità del quartiere.


Il podcast: Cosa significa essere rom a Mirafiori Sud?


Nell'ambito di un lavoro su Antropologia e Comunicazione, l* ragazz* della Summerschool SIAA Torino 2023 hanno intervistato Ivana Nikolić (@non_chiamateci_zingare) e Swami Della Garen per parlare di stigma e del loro rapporto con il quartiere di Mirafiori Sud.


Il racconto fotografico di Giulia Maria Bouquié 








domenica 10 dicembre 2023

Primo giorno, pomeriggio. Promuovere la salute nella comunità

Nel pomeriggio del primo giorno di attività ci siamo spostati in un'altra zona della città, il quartiere di San Salvario. Qui ci siamo ritrovati negli spazi del Polo culturale Lombroso 16, un luogo ricco di attività e iniziative a favore della cittadinanza.

Il tema della sessione pomeridiana ha inteso riflettere su come il sapere e le pratiche antropologiche possano dialogare e integrarsi con altre discipline in una struttura che si occupa di salute pubblica. L'attività, con un approccio dialogico e partecipativo, è stata condotta da Lucia Portis, antropologa con una ricca esperienza di lavoro in questo settore, insieme a Renata Gili, medico igienista e di sanità pubblica, e Rachele Rocco, infermiera epidemiologa, entrambe professioniste della Struttura Complessa Emergenze infettive, prevenzione e promozione della salute, ASL della Città di Torino. L'intervento di Gili e Rocco ha avuto l’intento di raccontate il lavoro interdisciplinare e la connessione tra ricerca quantitativa e qualitativa nella messa in pratica del Piano di prevenzione dell’ASL città di Torino.

Nella seconda parte del pomeriggio sono stati formati tre gruppi, ognuno di quali si è occupato di un’azione del piano provando a strutturare un programma di attività: Programma 2 “Comunità attive” - diffusione dei gruppi di cammino; Programma 5 “Sicurezza nei luoghi di vita” - Prevenzione delle cadute in ambiente domestico degli anziani; Programma 11 “Primi mille giorni di vita” - Istituzione di un tavolo intersettoriale. Al termine sono stati condivise e commentate le programmazioni individuate.



Per un approfondimento sui vari temi e metodi discussi nel corso di questa attività, invitiamo a fare riferimento all'articolo "Negoziazioni, dilemmi, opportunità fra antropologia e promozione della salute" che Lucia Portis ha pubblicato sulla rivista delle SIAA "Antropologia pubblica", all'interno di un focus tematico curato da Federica Tarabusi e intitolato "Senso condiviso: sapere antropologico e altre expertise professionali". 

A sintesi della giornata, riportiamo qui le significative parole con cui Lucia Portis conclude questo suo contributo:

"C’è bisogno di esplorare, di comprendere, di riflettere per provare a promuovere la salute senza dimenticare che siamo dentro un paradosso: in una realtà sociale pervasa dal neoliberismo che spinge verso la responsabilità individuale e senza politiche inclusive e risorse economiche, gli operatori sanitari si sentono soli e sono consapevoli del rischio di medicalizzazione dei comportamenti umani. Abbiamo tutti la sensazione di apparire come piccoli don Chisciotte che combattono contro i mulini a vento pensando che siano giganti. Questa sensazione di impotenza non ha possibilità di superamento senza strategie politiche e costruzione di sinergie con altri soggetti pubblici e privati. L’inserimento del pensiero antropologico può far emergere criticità e paradossi all’interno delle pratiche e la necessità della ricerca all’interno di qualsiasi azione".


Secondo giorno, mattino. Il progetto Migrantour e i Bagni Pubblici via Agliè.

Il secondo giorno di attività si è aperto con un'esplorazione del rione di Porta Palazzo, la zona del quartiere Aurora caratterizzata dal grande mercato di Piazza della Repubblica e da una lunga storia di migrazioni interne e internazionali.

In particolare, abbiamo scelto di avvicinarci a questo territorio attraverso l'esperienza del progetto "Migrantour. Intercultural Urban Routes", un'iniziativa premiata nel 2018 dal Premio SIAA per il suo carattere innovativo e la significativa dimensione della sua scala di intervento. Abbiamo così incontrato Rosina Chiurazzi, accompagnatrice interculturale e coordinatrice del progetto, che insieme a Francesco Vietti ha illustrato alcuni aspetti del "dietro le quinte" del progetto, raccontando in che modo l'attività si sia sviluppata nel corso degli anni affrontando anche varie fragilità e criticità. Migrantour è un'iniziativa di antropologia applicata che permette di affrontare il tema del nesso tra migrazioni, turismo e trasformazione urbana, proponendo una riflessione sul ruolo che la mobilità ricopre nei processi di patrimonializzazione. 

Per un approfondimento su questi temi e sul progetto si può fare riferimento agli articoli apparsi sulla rivista della SIAA, "Antropologia Pubblica", e sul dibattito scaturito attorno al Migrantour.

E qui il successivo dibattito con gli interventi di Miguel Mellino, di Sebastiano Ceschi e Giacomo Pozzi, di Irene Falconieri e Vincenzo Luca Lo Re.

La mattinata è poi proseguita nel quartiere di Barriera di Milano dove ci siamo recati ai Bagni Pubblici di via Agliè, una della Case del Quartiere attive a Torino. Qui, dopo un'introduzione a cura della responsabile Erika Mattarella e dello staff dei Bagni, Pietro Cingolani ha tenuto la prima parte del suo approfondimento sul tema del dialogo tra antropologia e cinema in chiave di lettura degli ambienti urbani. Proprio a partire dal ruolo che i Bagni Pubblici hanno avuto nel creare legami e connessioni sociali, l'intervento ha ricostruito alcuni aspetti delle trasformazioni che hanno coinvolto il quartiere di Barriera di Milano nel corso degli ultimi decenni. 

Per un approfondimento su questi temi, si può vedere il capitolo scritto da Cingolani su Barriera di Milano incluso nel volume "Concordia Discors. Convivenza e conflitto nei quartieri d'immigrazione" curato da Ferruccio Pastore e Irene Ponzo e frutto di un ampio lavoro di ricerca condotto da FIERI.

ll foto-racconto di Giulia Maria Bouquie, Alice Carollo e Carmen Grillo





Condominio di Corso Giulio Cesare - Migrantour






sabato 9 dicembre 2023

Secondo giorno, pomeriggio. Cinema, antropologia e trasformazioni urbane al Piccolo Cinema

Nel pomeriggio la giornata è proseguita spostandosi a Pietra Alta, zona dell'estrema periferia nord di Torino dove siamo stati accolti dal Piccolo Cinema di Gianluca e Massimiliano De Serio.
Il Piccolo Cinema, il cui nome completo include l'importante definizione di "società di mutuo soccorso cinematografico", è un luogo di discussione aperto, laboratorio di immagini, forum e luogo d’incontro per appassionati di cinema e per chi usa il cinema per capire il mondo e per aprirsi ad esso.
Si tratta di un progetto dell’Associazione Antiloco e si trova nella zona Pietra Alta tra il quartiere di Barriera di Milano e quello di Falchera in via Cavagnolo 7. Al suo interno vengono organizzati workshop, proiezioni e viene promossa la cultura cinematografica in maniera comunitaria e partecipata.
A creare questo spazio di aggregazione sono stati i fratelli De Serio, Massimiliano e Gianluca, registi torinesi che nel 2020 hanno presentato al Festival internazionale d’arte cinematografica di Venezia il film “Spaccapietre”. Insieme a Carlo Cognasso e Roberta Di Mattia nel 2012 hanno dato vita alla realtà del Piccolo Cinema nella convinzione che l’arte cinematografica sia una lente per capire la società in cui viviamo. Per questo, oltre ad un centro culturale, il Piccolo Cinema è anche un centro sociale dove vige uno scambio di opinioni e idee.
Tra le attività organizzate dal centro vi sono le domeniche di Mutuo Soccorso in cui dopo le proiezioni filmiche programmate vengono organizzate discussioni con il pubblico, in una sorta di lezione partecipata nella quale vi sono gruppi di lavoro formati dal pubblico e da giovani registi o documentaristi.
Come racconta Massimiliano De Serio:
“Quando iniziammo oltre10 anni fa l’idea era stare insieme grazie al cinema e dopo una prima serata inaugurale abbiamo avuto subito un consenso all’interno del quartiere. Da quel giorno è stato tutto un divenire. Da noi sono passati una generazione di registi indipendenti e persone che si sono formate proprio da noi e che oggi lavorano nell’ambito cinematografico. Inoltre sono molte anche le pellicole curate in varie fasi di pre e post produzione proprio dalla nostra associazione”.
Il Piccolo Cinema è molto legato al territorio circostante di Pietra Alta e organizza anche proiezioni e attività all'aria aperta, nel cortile che da un paio d'anni è impreziosito da un mural di Mono Carrasco, artista e muralista cileno, rifugiato politico in Italia dopo l’avvento della dittatura di Pinochet.
“Abbiamo organizzato una serata in cui l’artista ha proposto alla comunità un’idea di disegno. Si è partito dal suo bozzetto ma lasciando anche carta bianca a chiunque volesse partecipare all’opera con altre idee e modifiche. L’artista è stato presente nei mesi estivi nel cortile del Piccolo Cinema e chi desiderava poteva disegnare insieme a Mono il murales. C’è stato molto interesse al riguardo con un nutrito gruppo di lavoro collaborativo. Al gruppo sono intervenuti anche i bambini ed i ragazzi del Centro Estivo come gli anziani delle associazioni di Pietra Alta”.








A seguire, Manuel Coser, Guido Nicolas Zingari, Andrea Grasselli ci hanno presentato il ldocumentario interattivo per il web "BABEL" (2019). In questo particolare lavoro visuale, si possono ricostruire in modo interattivo le vicende di tre persone, in attesa del giudizio della Commissione Territoriale per avere protezione internazionale.  Lo spettatore, attraverso la realtà virtuale, entra nelle loro vite, esplora con loro la Babele di lingue, tradizioni e paesaggi che si intrecciano dietro gli stereotipi sull'immigrazione e la facciata nota della Torino quotidiana. Dallo spazio privato della casa alla città ideale di ognuno dei protagonisti, fino al momento in cui saranno sottoposti alla valutazione della burocrazia.
Il pomeriggio si è poi concluso con un'esplorazione del quartiere di Pietra Alta guidata dallo stesso Massimiliano De Serio, che ci ha condotto attraverso la storia e le storie del quartiere dove è nato, cresciuto e diventato regista insieme a suo fratello Gianluca. Questo itinerario nello spazio urbano all'estremo margine di Torino è stato anche fonte di ispirazione per un breve esercizio attraverso cui i partecipanti alla Summer School sono stati chiamati a scrivere un breve soggetto per un film/documentario dedicato al quartiere. 
Qui di seguito proponiamo a titolo d'esempio uno di questi soggetti.


 ll soggetto per un film di  Domenico Sparaco 


La Lavazza decide di acquistare la Polisportiva Rivermossa, storica polisportiva legata al quartiere di Pietra Alta. Lì infatti realizzerà un programma di allenamento innovativo per migliorare le prestazioni dei suoi dipendenti ciclofattorini. Gli spazi della Polisportiva e il campo da calcio vengono riempiti da una serie di cyclette "smart" che, a seconda di quanto si allenino bene i dipendenti, fornisce loro delle ricompense monetarie. 

Paolo, uno dei rider più anziani, abitante di Pietra Alta e legato da giovane alla Polisportiva, decide assieme ad altri suoi colleghi dissidenti di progettare un'azione di protesta: impacchettare con della carta regalo, decorata con delle biciclette, l'insegna "Lavazza" che campeggia su una delle torri di Vittorio.

giovedì 7 dicembre 2023

Terzo giorno, mattino. Antropologia e fantascienza al MUFANT

La terza giornata di attività delle Summer School ci ha portati nuovamente nell'estrema periferia nord di Torino. Potremmo dire "ai confini della realtà", visto che la nostra meta della mattina è stato il MUFANT, MuseoLab del Fantastico e della Fantascienza. 

In questa ex scuola convertita in spazio museale abbiamo incontrato Davide Monopoli, co-fondatore e co-direttore del MUFANT insieme a Silvia Casolari, e ci siamo chiesti in che modo antropologia e fantascienza possano dialogare attorno alle questioni urbane. In effetti, anche se raramente pensate come mondi simili tra loro, sia antropologia che fantascienza condividono una certa vocazione a farsi "critica culturale" rispetto a tutto ciò che viene dato per scontato, per naturale, per inevitabile. Le narrazioni fantascientifiche, proiettando la loro immaginazione nel futuro o su lontani pianeti, tutto sommato ci invitano a fare ciò che le ricerche etnografiche ci mostrano in questo nostro mondo presente: ossia che le alternative sono possibili, che è possibile vedere e interpretare la realtà sociale altrimenti, e che cambiando il nostro punto di vista possiamo scorgere ciò che se no resta invisibile. Insomma, anche quello della fantascienza è un "giro lungo", proprio come quello dell'antropologia. Anzi, forse ancora più lungo visto che raggiunge le più lontane galassie per fare poi ritorno a casa. Per approfondire il discorso, un riferimento utile può essere il recente numero tematico della Rivista di Antropologia Contemporanea (RAC) dedicato ad "Antropologia e fantascienza" curato da Fabio Dei, Fabiana Dimpflmeier e Francesco Vietti. 

Come ci ha raccontato Davide, il MUFANT è un museo unico nel suo genere in Italia, e che in Europa può essere accostato solo a La Maison d'Ailleurs, il musée de la science-fiction fondato nel 1976 da Pierre Versins a Yverdon-les-Bains, in Svizzera. Se i musei dedicati alla fantascienza non sono del resto numerosi neppure a livello mondiale, il MUFANT segnala sin dal nome la sua peculiarità presentandosi come MuseoLab: non solo, dunque, spazio museale pensato per la conservazione e la valorizzazione delle produzioni fantascientifiche, ma anche laboratorio impegnato a sperimentare, progettare, agire sugli spazi esterni al museo, nella città. 

“Il museo è gestito da un’associazione culturale e dal 2002 riunisce persone appassionate del genere del fantastico e fantascientifico, ma che nella vita fanno anche altro e hanno varie competenze: psicologi, insegnanti, collezionisti. Per tenere aperto un ruolo fondamentale è quello delle borse lavoro con il mondo della cooperazione sociale. In particolare, lavorano con noi diverse persone con problematiche legate alla salute mentale che altrove fanno fatica a trovare un impiego perché la disabilità mentale è molto stigmatizzata, ancor più di quella fisica”.






Attorno alle attività del MUFANT, si delinea dunque una comunità composta da curatori, collezionisti, appassionati, scrittori, artisti che riconoscono nella fantascienza un patrimonio di idee, narrazioni, oggetti cui attribuiscono valore e attraverso cui consolidano una dimensione identitaria collettiva di fantascientisti. Un patrimonio non di rado “dissonante” rispetto alle narrazioni dominanti nel discorso pubblico su molti temi di rilevanza sociale, e che, proprio per questo, assume una valenza di critica culturale ed esprime istanze di cambiamento. In questa prospettiva, quello della fantascienza è un patrimonio spiccatamente orientato verso il futuro, che non si pone solamente nell’ottica di trasmettere alle prossime generazioni le tracce dei futuri di volta in volta prodotti nel passato dalle nostre società, ma che aspira esplicitamente a trasformare il futuro. All’originaria vocazione museale, il MUFANT ha dunque affiancato nel corso degli anni un sempre più marcato interesse per l’ideazione e lo sviluppo di interventi di tipo socioculturale capaci di avere un impatto sul territorio circostante. Il fatto che il museo si trovi in una zona periferica della città, priva di servizi e di attrattive, secondo Davide è un aspetto che ha ispirato in modo determinante la comunità che ne realizza le attività:

“Siamo in un quartiere di confine, in una sorta di Twilight zone  di Torino. Non saprei dire se siamo arrivati qui perché per noi la fantascienza ha un certo significato, o al contrario se l’abbia acquisito proprio perché ci troviamo qui. In ogni caso per me la fantascienza è pensare mondi possibili, che potrebbero esserci qui e ora; quindi, è vedere quel che potrebbe esserci e non c’è. Si tratta di una pratica esistenziale, il non amare le situazioni di status quo, questa è l’indole profonda e passionale che ci guida. Noi interpretiamo la fantascienza in questo modo, con questa attitudine. Il nostro compito di fantascientisti è raccontare l’altro, l’alieno. Il nostro impegno è molteplice, sciogliere i pregiudizi, gli stereotipi, per trattare il tema ci siamo aperti e siamo diventanti militanti nella nostra lotta a favore dell’incontro con l’altro. Questo ci ha obbligato a guardare sempre di più a quel che accade fuori dagli spazi chiusi del museo. Per questo abbiamo messo in piedi quello che chiamiamo il Parco del Fantastico, con le statue di Capitan Harlock, Alien, Frankenstein, Wonder Woman e gli altri personaggi che si vedono attorno al museo. Si potrebbe definire un progetto di riqualificazione della zona, ma vogliamo assolutamente evitare le cose di facciata. La questione estetica deve rimandare per noi al problema centrale dal rapportarsi con cui vive qui, attorno a noi. Lavoriamo ad esempio molto con le scuole di zona, e poi cerchiamo di cucire con le famiglie attraverso i ragazzi, gli aspetti di cultura pop e giovanile del museo sicuramente ci permettono di fare questo”.

Dopo aver visitato il museo in compagnia di Davide, i partecipanti alla Summer School sono stati coinvolti in una breve esercitazione attraverso cui hanno ideato in piccoli gruppi delle tracce per dei racconti fantascientifici attraverso cui mettere in scena una Torino del futuro seguendo quattro possibili scenari: uno scenario utopico, uno scenario distopico, uno scenario apocalittico o uno scenario solarpunk. A titolo d'esempio, riportiamo di di seguito uno dei testi prodotti.


Lo scenario distopico di Alex, Davide, Fabio, Roberta e Sabrina

Futuro. Le acque della Stura hanno invaso l’intera periferia nord di Torino. Gli unici a vivere sopra il pelo dell’acqua sono i dirigenti di Lavazza e Intesa San Paolo, che dall’alto dei loro attici agli ultimi piani delle torri sottomettono tutti al loro controllo.
Gli abitanti, costretti a vivere sott’acqua, hanno col tempo perso la capacità di parlare e l’unico mezzo che hanno per comunicare è lo scambio di NFT. Il Piccolo Cinema è diventato un hub della resistenza cittadina contro il controllo tirannico dei ricchi imprenditori. I ribelli lavorano in segreto per sovvertire l’attuale ordine sociale e creare un sistema che garantisca ai cittadini di poter vivere dignitosamente sopra il ciglio dell’acqua. Utilizzando gli NFT e facendoli circolazione tramite tecnologia blockchain la resistenza diffonde immagini che danno speranza e uniscono la popolazione nella lotta per un futuro migliore.

martedì 5 dicembre 2023

Terzo giorno, pomeriggio. Progettare e valutare, antropologia e servizi al Centro Interculturale... e cena da Jigeenyi, al Bunker


Nel pomeriggio ci siamo trasferiti al Centro Interculturale della Città di Torino. Il Centro nasce nel 1996 con l’obiettivo di offrire a tutti i cittadini opportunità di formazione interculturale e occasioni di incontro. Ci è sembrato il posto ideale per affrontare il tema del “Progettare e valutare: gli apporti dell’antropologia nei servizi socio-sanitari”. Guidati da Silvia Stefani i partecipanti si sono cimentati nella simulazione di due tipologie di lavori, uno di valutazione e l’altro di progettazione partecipata di un sistema. Nel primo caso si è trattato di un percorso di valutazione di una comunità per persone con disabilità e nel secondo della creazione di un percorso di progettazione partecipata del sistema dei servizi di accoglienza per persone senza dimora della città di Torino.


Sono due progetti a cui Silvia Stefani ha effettivamente lavorato in passato ed è stato interessante il confronto tra ciò che è stato fatto e le nuove idee emerse nel corso della discussione pomeridiana. Per avere anche il parere di chi giornalmente lavora in questi ambiti sono stati invitati a discutere Massimo Petrantoni (Cooperativa Animazione Valdocco), Luca Calvetto (Cooperativa Sociale Frassati) e Nicolò Di Prima (designer del Politecnico di Torino).  



Fuori pioveva ma le nuvole si sono diradate giusto in tempo per trasferirci al Bunker, centro culturale metropolitano sorto nei pressi del grande vuoto urbano lasciato dall’ex scalo ferroviario Vanchiglia. Qui ci si interroga sulla possibilità di riqualificare una porzione urbana a partire da un progetto culturale che integra, in un unico luogo, esperienze di incontro, creatività, benessere, educazione e partecipazione. Ed è qui che si è svolta la nostra ultima cena presso il ristorante Jigeenyi (donne in lingua Wolof senegalese).





Uno luogo affascinante, dedicato alle cucine africane. Nel 2020 all’interno del Bunker è stata fondata l’Associazione di Promozione Sociale Ricette d’Africa. 


venerdì 1 dicembre 2023

Incontro di chiusura. Montagne in Movimento alla Casa del Quartiere di San Salvario


Siamo arrivati all’ultimo giorno e il nostro percorso si conclude alla Casa del Quartiere di San Salvario. Gli ex bagni pubblici rappresentano oggi un vivace luogo di aggregazione per gli abitanti del quartiere. Quest’ultimo incontro è un momento importante, forse il più importante, perché da un lato serve a tirare le somme di tutto quello che è avvenuto durante la settimana (gli aspetti positivi e quelli meno) e dall’altro vuole essere l'occasione per tracciare nuovi possibili scenari futuri. È uno degli obiettivi lanciati all’inizio della Summer School, provare a tessere una rete di relazioni che sopravviva a queste poche giornate. Un network che possa essere la base per nuovi progetti e collaborazioni.


Introduce la giornata Valentina Porcellana che, partendo da alcune riflessioni autobiografiche e dal progetto «Montagne in movimento», Premio SIAA 2021, fornisce importanti spunti su antropologia applicata e welfare. La sua esperienza è un esempio di quanto possa essere fecondo il rapporto tra antropologia e istituzioni.


Siamo in conclusione ma, prima di condividere l’ultimo pranzo insieme, è stata richiesta ai partecipanti una restituzione della loro esperienza. Abbiamo chiesto di farlo partendo da alcune parole chiave. Lo specchio (in quali attività si sono maggiormente riconosciuti), la valigia (cosa portano a casa), il comodino (su cosa devono riflettere ulteriormente), il cestino (cosa non è piaciuto), il messaggio nella bottiglia (riflessioni per la prossima edizione della Summer School SIAA).  

Con il pranzo alla Casa del Quartiere si conclude questo lungo percorso attraverso luoghi e progetti urbani. L’impressione è quella di una generale soddisfazione. Qualcosa si potrà certamente migliorare ma, essendo la prima edizione, va bene così. Ci si saluta con un po’ di nostalgia consapevoli che non è un addio ma un semplice arrivederci.